26 dicembre 2025

L’inganno dell’esistenza, perché la maggior parte delle persone non vive:
C’è una presunzione di fondo, tanto diffusa quanto invisibile: credere che la vita coincida con l’idea che ne abbiamo. Non è un errore ingenuo, è una forma di autoassoluzione. Pensiamo che il semplice fatto di “esserci” equivalga a vivere, quando in realtà stiamo solo occupando uno spazio nel tempo, aderendo a un copione già scritto.
 
La vita autentica non è garantita. Non lo è per nascita, non lo è per diritto, non lo è per durata. La vita accade o non accade, su livelli che sfuggono alla gestione razionale. È un fenomeno che non risponde alle categorie con cui tentiamo di incasellarlo. Pretendere il contrario significa ridurla a un concetto domestico, innocuo, controllabile. Ciò che la maggior parte delle persone chiama “vita” è, più correttamente, esistenza. L’esistenza è funzionale, ordinata, socialmente spendibile. È la somma delle aspettative interiorizzate, delle proiezioni sul futuro, delle giustificazioni retroattive sul passato. È una narrazione coerente, ma profondamente anestetizzata. Serve a non sentire troppo.
 
L’esistenza si attacca alle forme: ruoli, identità, status, appartenenze. Vive nella firma delle cose, non nella loro sostanza. Essere qualcuno conta più che essere presenti. Avere una definizione è più rassicurante che attraversare il vuoto di non sapere chi si è. Così si scambia il nome per la realtà, il titolo per l’esperienza, la rappresentazione per il vissuto.
 
La mente è la grande complice di questo inganno. Non cerca la verità, cerca stabilità. Ripete ciò che funziona, consolida ciò che protegge, difende ciò che garantisce continuità. Le credenze non nascono per illuminare, ma per sopravvivere. In questo senso, la mente non è uno strumento di libertà, ma di adattamento.
Ed è qui la frattura più scomoda: si può attraversare un’intera esistenza senza incontrare mai la vita. Si può amare senza presenza, lavorare senza senso, pensare senza coscienza. Si può accumulare esperienza senza mai esporsi realmente a ciò che accade. Non perché manchino le occasioni, ma perché manca il coraggio di restare senza appigli.
 
La vita autentica non è rassicurante, né progressiva, né motivazionale. Non promette crescita, non garantisce significato. Chiede solo una cosa: presenza. E la presenza è costosa. Significa rinunciare al controllo, sospendere le narrazioni, smettere di usare il pensiero come rifugio. Significa esporsi all’istante senza sapere cosa ne verrà fuori.
 
In una cultura che idolatra la performance, la pianificazione e l’identità, vivere davvero è un atto sovversivo. Non produce risultati misurabili, non genera consenso, non può essere certificato. Proprio per questo viene evitato, ridicolizzato o spiritualizzato fino a diventare innocuo.
 
Forse il problema non è che la vita sia difficile.
Forse il problema è che non siamo disposti a rinunciare all’esistenza che ci protegge.
E finché continueremo a confondere l’una con l’altra, chiameremo “vita” ciò che, in realtà, è solo una lunga, educata, sopravvivenza.
 
Antonio Ruben

 

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