Se l’anima è connessa al corpo, allora non permetterà al corpo di vivere oltre ciò che deve essere vissuto. Non per crudeltà, ma per coerenza. Perché prolungare l’esperienza oltre il suo senso significherebbe tradirla.
All’inizio l’anima entra nel corpo come si entra in una stanza presa in prestito.
Sa che non le appartiene per sempre. Sa che dovrà lasciarla.
Il corpo cresce, cade, si rialza. Impara il dolore prima ancora del linguaggio. L’anima osserva in silenzio, raccoglie. Ogni ferita è un dato, ogni carezza un’informazione. Nulla è superfluo. Tutto concorre alla missione per cui si è incarnata.
Prendersi cura del corpo diventa così una necessità primaria. Non per inseguire l’illusione della durata, ma per permettere all’anima di compiere fino in fondo ciò che aveva previsto di attraversare. Il corpo è lo strumento, il campo, la soglia. La sua integrità serve all’evoluzione dell’anima, non alla sua negazione.
L’anima non è nemica del corpo. Al contrario: lo protegge finché serve. Lo spinge a respirare, a guarire, a cercare il calore. Ma conosce il limite. Sa che esiste un punto oltre il quale vivere non significa più vivere, ma ripetere. E l’anima non si incarna per ripetere: si incarna per comprendere.
Quando ciò che doveva essere appreso è stato appreso, qualcosa cambia. Non in modo violento, non improvviso. È un arretramento lieve, quasi impercettibile. Come una luce che smette di insistere sugli oggetti.
Il corpo allora resta con la mente.
Una mente lucida, funzionale, spesso fredda. Le emozioni si ritirano, il senso si assottiglia. Una mente egosintonica, talvolta cinica, che continua a pensare senza più sentire. Non è una punizione: è un passaggio. È il tempo sospeso che precede la separazione definitiva.
La morte del corpo non è una sconfitta.
È l’ultima, ma non meno importante, esperienza che l’anima deve attraversare per comprendere fino in fondo che cosa significhi essere stati vivi. Perché solo ciò che finisce può essere davvero compreso.
In questa prospettiva, l’immortalità smette di apparire come una conquista.
Diventa un’aberrazione. Un esperimento freddo in cui l’uomo cessa di essere umano e si riduce a una macchina biologica che continua a funzionare senza più significato. Non muore, ma nemmeno vive: persiste. La vita, invece, ha bisogno della fine per essere intera. Come una frase che trova senso solo quando arriva il punto.
Antonio Ruben
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